L’incubo di ogni frequentatore di piscine o antica leggenda tramandata per scoraggiare alcune pratiche poco gradite in pubblico? La verità è che la storia della pipì che si tinge di blu una volta in contatto con l’acqua della piscina si trova esattamente a metà strada fra realtà e leggenda.
Esistono in commercio diversi prodotti che riescono a far modificare il colore della pipì con il ph dell’acqua e vengono chiamati comunemente proprio “rivelatori di pipì“. Tuttavia, l’acqua contenuta all’interno di una piscina ha un volume così grande che ci vorrebbero litri e litri di questi prodotti e 2 o 3 piedi cubici di pipì per far sì che questo fenomeno sia lontanamente visibile.
Un’altra piccola aggiunta per rassicurare tutti coloro che amano farsi qualche vasca in piscina è che il cloro presente nell’acqua, se presente in quantitativo al di sopra di 2 ppm, elimina tutti gli effetti della pipì.
La storia della pipì che diventa blu in piscina è, quindi, più un becero tentativo di dissuadere i natanti dall’espletare i propri bisogni in acqua che un reale accorgimento contro quelle persone che ogni tanto “si lasciano andare” tra una nuotata e l’altra.
Insomma, evitate di fare pipì in piscina per rispetto verso gli altri bagnanti, piuttosto che per il timore di essere beccati dal leggendario liquido blu.
Ma la pipì in piscina potrebbe essere mortale…
Sfatata questa leggenda, ve ne narriamo un’altra. In realtà, si tratta di uno studio dell’Università di Pechino circa gli effetti dell’urina in quella che – di fatto – è una miscela di acqua e cloro.
Ebbene, l’azoto contenuto nella pipì reagirebbe con il cloro e libererebbe cloruro di cianogeno micidiale gas tossico utilizzato anche nella produzione dei gas nervini.
La pipì in piscina quindi oltre a fare schifo potrebbe essere mortale.
Ovviamente però bisogna sottolineare come la concentrazione degli elementi chimici in questione è troppo bassa per essere pericolosa: nei test in laboratorio il team cinese ha rilevato una concentrazione massima di cloruro di cianogeno di 30 parti per miliardo (meno della metà rispetto alle 70 parti per miliardo stabilite dall’OMS come limite massimo per l’acqua potabile).