Studio matto e disperatissimo, macché. È necessario prendersi dei break tra le sessioni di studio: lo dimostra la scienza.
Avrete sentito l’espressione “studio matto e disperatissimo”: è una espressione che fa venire in mente lo studente solerte che si dà da fare davanti ai libri, nell’obiettivo di assorbire fino all’ultima goccia di conoscenza – senza sosta, senza pausa.
Tutti sanno / molti sanno che è una espressione di Giacomo Leopardi, ma in pochi ricordano che si tratta di una espressione usata senza connotazioni positive.
In una lettera scritta all’amico Pietro Giordani nel 1818, Leopardi (che d’altra parte in assoluto non è noto per essere il più positivo) scriveva: “io mi sono rovinato con sette anni di studio matto e disperatissimo in quel tempo che mi s’andava formando e mi si doveva assodare la complessione”.
Ecco, nessuno di noi si vuole rovinare e la scienza ci dà motivi per credere che lo studio matto e disperatissimo è – pardon – una cagata pazzesca.
Studio indefesso? Per rendere al meglio sono necessari i break del caso
Quando si tratta di apprendere nuove informazioni, il primo istinto è spesso quello di ripetere senza sosta, nella speranza che la quantità di tempo impiegato si traduca automaticamente in efficacia – forse anche pensando alla succitata frase leopardiana che è spesso stata usata a sproposito (come tante altre citazioni più o meno famose, più o meno apocrife). Tuttavia, numerose ricerche suggeriscono che il vero alleato della memoria non è lo studio ininterrotto, ma la pausa.
Uno studio pubblicato nel giugno del 2022 su Nature Reviews Psychology ha evidenziato che una pausa di dieci minuti, un vero e proprio break completo, può rafforzare in modo significativo il richiamo mnemonico. Questo tipo di riposo, definito offline waking rest, consiste semplicemente nel rilassarsi – magari in silenzio, con gli occhi chiusi, senza stimoli esterni.
Gli autori spiegano nel loro studio:
“Periods of offline waking rest can facilitate the consolidation of newly formed memories. Even a few minutes of rest with closed eyes can improve memory, perhaps to the same degree as a full night of sleep”.
(Per i meno avvezzi alla lingua inglese: “Periodi di riposo sveglio offline possono facilitare la consolidazione delle memorie appena formate. Anche pochi minuti di riposo con gli occhi chiusi possono migliorare la memoria, forse allo stesso livello di una notte intera di sonno”).
Il dato a primo impatto sorprendente è proprio questo: il beneficio mnemonico di una pausa silenziosa è paragonabile a quello del sonno post-studio, una intera notte di sonno addirittura.
Ma andiamo avanti con le ricerche, ché sono molteplici e testimoniano che Leopardi aveva ragione e noi abbiamo sempre sbagliato a citare positivamente le sue parole.
Un’altra ricerca, pubblicata nel 2016 su Psychological Science, ha dimostrato che studiare prima di dormire, seguito da un breve ripasso al risveglio, migliora la ritenzione a lungo termine del 50% rispetto a chi studia senza interruzioni. Il cervello utilizza i momenti di inattività per rafforzare e organizzare le informazioni appena apprese.
Nelle fasi iniziali dell’apprendimento, ma non solo, è quindi fondamentale concedersi brevi momenti di quiete (anche se noi siamo fautori del dolce far nulla, in assoluto): queste pause permettono la riattivazione e stabilizzazione delle tracce mnemoniche, contribuendo a consolidare ciò che si è appena imparato.
Per ottenere il massimo effetto, le pause devono essere davvero “offline”: niente telefoni, musica o interazioni sociali. Solo silenzio. Una passeggiata leggera, guardare fuori dalla finestra o semplicemente stare seduti con gli occhi chiusi sono tutte attività efficaci.
Non solo riposo, anche l’attività fisica ha un ruolo sorprendente nella memorizzazione (e supponiamo in tal senso che il gobbo Leopardi non fosse esattamente uno sportman): uno studio pubblicato su Psychology of Sport and Exercise ha rivelato che l’esercizio dopo lo studio migliora significativamente la memoria e la capacità di richiamare le informazioni apprese.
E ancora (sarà l’ultimo studio che citiamo, ché ce ne sarebbero a bizzeffe): secondo una ricerca del 2023 sul Journal of Epidemiology and Community Health bastano appena sei minuti di esercizio moderato (a partire dai sei minuti) per potenziare la memoria e le capacità cognitive, indipendentemente dal momento della giornata (e la ricerca in questione era stata effettuata su individui di mezz’età, a testimonianza che questo post non è valido solo per gli studenti intesi nel senso stretto del termine).
La conclusione di questo studio (come dei precedenti e di tutto questo post) è chiara: per imparare meglio, qualsiasi cosa si voglia imparare, non serve solo concentrarsi sullo studio e sulla ripetizione. Serve anche fermarsi e fare altro, mettendo per qualche minuto in standby il cervello.