La storia di Mighty Max: da gioco (oggi dal valore importante) a cartone animato con un riflesso educativo.
Quando ero piccolo, ma proprio piccolo, il mio riferimento culturale in famiglia erano le mie cugine – di cui una poco più grande di me.
Erano i primi degli anni ’90 e il concetto di fluidità non era ancora stato formulato – e anche il concetto di luquidità alla baumaniana maniera non era stato ancora pensato (o quantomeno reso pubblico).
Ai tempi alcuni giochi erano per bambini ed altri per bambine, punto. E potevo quindi solo invidiare le mie cugine che avevano le Polly Pocket, bambole in miniatura (di dimensioni più che tascabili) inserite in un microminimondo che ai miei occhi era una figata pazzesca. Una sorta di diorama per bambine, una figata pazzesca davvero.
Fortunatamente dopo non troppo tempo giunse sul mercato il corrispettivo maschile – dal nome macho as fuck: Mighty Max, il Poderoso Max (siamo quasi ai livelli di Homer Simpson / Max Power).
Mighty Max era un preadolescente coraggioso, vestito largo come un rapper con indosso una maglietta con la M e uno stilosissimo cappello da baseball rosso con la medesima iniziale (anche la sigla cantata da Cristina D’Avena tendeva a sottolineare la scelta stilistica – “indossa un berrettino decisamente fantastico, un berrettino che è magico”).
Come a volte capitava nei mitici anni ’90, dal gioco venne lanciato un cartone animato (in seguito anche un videogioco, in pieno franchise).
E così tra il 1993 e il 1994 fu prodotta e mandata in onda una serie televisiva che ebbe un grande successo (tanto che Wikipedia scrive descrivendola come “una delle più viste in quegli anni”).
Effettivamente, a giudicare dai commenti alle puntate complete pubblicate online, la sensazione è che fosse un cartone animato davvero molto gettonato – anche più del gioco per cui io impazzivo.
Una cosa che rendeva unico questo cartone animato era l’appendice di fine puntata, quando – terminata l’avventurosa storia vera e propria – compariva una breve scena conclusiva in cui Max, seduto alla sua scrivania nella sua stanza, si rivolgeva direttamente al pubblico per approfondire in modo educativo qualche dettaglio dell’episodio: il luogo in cui si erano svolti gli eventi, il tipo di creatura affrontata, o un elemento storico o scientifico citato nella trama.
A volte queste sequenze lo mostravano in ambienti diversi, come una biblioteca o un museo, oppure si limitavano a farlo sentire in voce, come accade nel finale di serie con il messaggio registrato sulla segreteria telefonica (che faceva pensare a una possibile nuova serie del cartone, poi mai giunta).
In generale, i messaggi educativi che chiudevano ogni episodio toccavano temi scientifici, storici o culturali: dalla mitologia di popoli lontani alle teorie astronomiche allora più recenti, fino all’etologia – parlando del calamaro gigante – o all’antropologia – spiegando come i nativi americani vennero inizialmente scambiati per “indiani” dagli esploratori europei.
Oltre a questi epiloghi, anche all’interno degli episodi venivano disseminate piccole curiosità integrate nella narrazione senza risultare invasive, spesso affidate ai commenti di Virgil (lemuriano onniscente incontrato da Max in Mongolia, dove si era trovat a vagare grazie al portale attivato dal berretto magico).
Insomma, un Max non solo Mighty ma anche Cultural.
Tornando al gioco, la cosa che colpisce è che oggi il valore di questi Polly Pocket al maschile è davvero elevato.
Basta fare un giro su ebay, per esempio, e vedere che alcuni dei gusci orribilosi (erano così tradotti in italiano i diorama che vedevano Mighty Max protagonista, Doom Zone in inglese) superano i 100 euro di valore.
Una cifra importantissima considerando che quando furono lanciati nel bel paese non costavano più di alcune decine di migliaia di lire (c’è chi scrive 15.000 lire, io ricordo 30.000 – in assoluto non andiamo oltre i 15 euro dell’epoca – al netto di inflazione e svalutazione).
E io?
Io ne ho avuti a bizzeffe, di quei diorama horror, finiti probabilmente nel dream motel assieme ai sogni e ai miei perché.
Ne ho avuti a bizzeffe, sebbene abbia perso più volte tanti dei microprotagonisti. Anche per questa ragione (la facilità con cui si perdono pezzi che nemmeno Dargen al meccano) oggi i Mighty Max arrivano a valere una piccola fortuna.
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