Scopri la scienza dietro l’accelerazione del tempo da adulti. Strategie pratiche per recuperare la percezione “da bambino” del tempo.
Scrolliamo social di ogni tipo e troviamo in più canti digitali lo stesso idem sentire. Oltre-oceano la chiamano Nostalgiacore, un’estetica fatta di immagini quasi oniriche di camerette d’infanzia, televisori a tubo catodico e colonne sonore di vecchi cartoni o pubblicità d’annata. I commenti sono un coro di malinconia: “Vorrei tornare indietro”, “Niente sarà più come allora”.
Dalle nostre parti, questo stesso tipo di contenuto è stato declinato in una maniera peculiare, con la felicità come parola d’ordine: “eravamo felici e non lo sapevamo” – “Stai masticando una gomma americana che con ogni probabilità ti sta devastando i denti. Spacchetti una gomma dopo l’altra alla ricerca di Volpi e Poggi. Sei felice” (quest’ultima è un’invenzione del sottoscritto, ma è abbastanza in linea con quello che si può trovare online).
Ma non si tratta solo il rimpianto per le attività di quando si era infanti o poco più e per la spensieratezza di quegli anni. È una mancanza più profonda, legata a un modo di vivere il tempo che abbiamo perduto.
Perché il tempo passa, e più passa più sembra volare.
Ma perché il tempo vola da adulti? La risposta non sta solo nella fisica, ma in una verità psicologica e neurologica che possiamo, in parte, ribaltare.
Il segreto non è la lentezza, ma la densità
Da bambini, il mondo era un luogo di scoperte continue. Il cervello, simile a una spugna, assorbiva ogni stimolo: la consistenza del tappeto o della moquette (che fa molto anni ’90), il peculiare suono del frigorifero (parliamo dei frigoriferi di un tempo, che devastavano l’ambiente), la traiettoria di una palla (a volte imprevedibile – pensiamo ai SuperTele). Questa esposizione costante alla novità costringeva la mente a registrare milioni di dettagli, rendendo ogni giorno un archivio ricchissimo di memorie sensoriali. Il tempo era “denso”, pieno di esperienze nuove.
Da adulti, la vita si fa prevedibile e noi diventiamo Blasé, come avessimo visto e vissuto già tutto. Il cervello, ottimizzando le energie, filtra il superfluo. Lo stesso percorso, gli stessi compiti, le stesse conversazioni: tutto viene compresso in un’unica, lunga giornata ripetuta all’infinito. Meno novità significa meno ricordi distinti, e quindi la sensazione che il tempo sia volato.
La scienza dell’orologio interno: ecco perché i tempi dell’infanzia sembravano infiniti
Se senti che gli anni accelerano, non è colpa tua. È la tua mente che ti sta giocando uno scherzo (ama giocarti scherzi, d’altra parte, è risaputo). Quanto segue è una spiegazione data da Yana Yuhai, in un bel post per il suo substack – why time felt slower when we were kids (and how to get it back).
L’effetto straniante: i neuroscienziati lo chiamano “Oddball Effect”. Un evento inaspettato – un animale che attraversa la strada, un incontro casuale – viene percepito come più lungo. Il cervello, sorpreso, consuma più risorse per codificarlo. Per un bambino, il mondo è una successione continua di eventi stranianti. La prima volta che vede il mare, la prima neve, il primo giorno di scuola. Da adulti, le sorprese si diradano (sono pochi i primi giorni di scuola – dovremmo forse cambiare più spesso lavoro) e il tempo accelera.
La teoria della proporzione: un anno a 10 anni è il 10% della tua vita. Un anno a 50 è solo il 2%. È un’unità di misura che si restringe man mano che il denominatore (la tua età) cresce. È un’illusione matematica, ma potentissima.
Il pilota automatico: quante volte sei arrivato a casa senza ricordare il viaggio (e non perché fossi ubriaco, quella è un’altra storia)? Il cervello, per efficienza, mette in standby le azioni ripetitive. E se la nostra percezione del tempo è legata ai ricordi, un’esperienza non registrata è tempo perso due volte: non lo si è vissuto con presenza e non lo si potrà nemmeno ricordare.
Come “tornare bambini” nella gestione del tempo (non è necessario tornare a giocare coi pupazzetti)
La buona notizia è che possiamo imparare e re-imparare. Non servono cambi di vita epocali, ma un ritorno intenzionale alla presenza. Ecco come rubare al tempo qualche secondo in più.
Inserisci micro-novità: la strategia è sabotare la routine con piccole deviazioni: cambia il caffè che bevi, vai a fare la spesa in un negozio diverso, ascolta un genere musicale nuovo. Sono scosse al sistema che costringono la mente a uscire dal pilota automatico.
Pratica il “Fare da Principiante”: scegli un’attività quotidiana (bere un tè, lavarti i denti) e compila con la massima attenzione, come se fosse la prima volta. Nota i sapori, le temperature, le sensazioni. È un’esercitazione forzata alla presenza.
Crea “Isole di Attenzione”: dedica 15 minuti al giorno a un’attività senza schermi e senza multitasking. Osserva semplicemente il mondo: le nuvole, il movimento delle foglie, il tuo stesso respiro. È in questi momenti che l’insula – l’area cerebrale della consapevolezza sensoriale – si riattiva, regalandoti la percezione di un tempo più espanso.
Quella magia che rimpiangi non è legata all’essere bambino: è legata alla qualità della tua attenzione, al modo in cui osservi il mondo, con gli occhi di chi ancora non ha visto niente.
Ci sono tante cose da vedere, tante cose da fare. E se il passato è un paese che non possiamo più visitare, possiamo allenare il nostro modo di essere presenti – a noi stessi, al mondo, agli altri.