Scopri “Tigri e Colonie”, il romanzo di Francesco Bianchi che dà voce alla storia dimenticata dei 13.000 bambini deportati durante la colonizzazione italiana in Libia. Un’intervista sulla memoria, la resistenza e il dovere di ricordare.
La storia non è solo quella scritta sui manuali, ma anche quella rimossa, taciuta, custodita nella memoria fragile e tenace dei testimoni. È da queste memorie, in particolare da quelle di due sorelle ultraottantenni, che prende vita “Tigri e Colonie”, il nuovo potente romanzo di Francesco Bianchi edito da Gruppo Santelli. L’opera getta una luce necessaria e commossa su uno dei capitoli più oscuri e dimenticati del colonialismo italiano: la deportazione di tredicimila bambini, figli di coloni in Libia, strappati alle loro famiglie con la promessa di una vacanza di tre mesi e inghiottiti, invece, in un incubo durato anni.
Attraverso un meticoloso lavoro di ricerca e l’ascolto di testimonianze dirette, Bianchi ricostruisce un affresco narrativo di rara intensità umana, intrecciando le voci di bambini italiani come Rosina e Quarto, costretti a confrontarsi con l’esilio e la violenza delle colonie, a quella del soldato indiano Mehr, arruolato nell’esercito britannico e diviso tra lealtà e orrore della guerra. Il romanzo non si limita a raccontare: scava nelle coscienze, mostrando il crudo contrasto tra l’innocenza dell’infanzia e la brutalità del conflitto, e tracciando connessioni profonde tra la resistenza partigiana in Valbormida, le tigri indiane sulla Linea Gustav e gli eccidi come quello di Ferrara.
“Tigri e Colonie” è più di un’opera narrativa; è un atto di giustizia verso quelle migliaia di bambini che, come rivelato dall’autore, alcuni non rividero i genitori per oltre quindici anni. È un invito urgente a riflettere sul peso della memoria storica e sulle sue ripercussioni nel presente, un monito che, come afferma Bianchi, ci ricorda che “conoscere è saper scegliere”.
In questa intervista per HC (per una volta – e siamo certi non sarà un unicum – vogliamo dare spazio alla cultura) l’autore ci guida alla scoperta delle motivazioni che hanno dato vita al libro, di ciò che l’ha più colpito nel confronto con i testimoni e del ruolo fondamentale della memoria nel comprendere non solo il nostro passato, ma anche le radici dei conflitti attuali.
Perché raccontare oggi la colonizzazione italiana in Libia e le deportazioni dimenticate?
La storia dei tredicimila bambini italiani, figli dei coloni della Libia, non ha trovato il giusto spazio nei libri di storia ma è un avvenimento di privazione delle libertà incredibile. I tredicimila, dai 4 ai 16 anni, partirono per una vacanza di tre mesi ma non rividero i genitori per minimo cinque anni, soggiogati da sorveglianti severe e istruttori rigidissimi e continuamente spostati da una colonia all’altra, in un contesto sempre più deteriorato. Alcuni di questi bambini rividero i genitori dopo più di 15 anni!
Cosa ti ha colpito di più ascoltando le testimonianze delle due sorelle protagoniste?
A distanza di ottant’anni dall’avvenimento riuscivano ancora a commuoversi nel raccontare la loro esperienza. Avevano deciso di non sposarsi, come molte, per contrastare l’indottrinamento che sorveglianti senza scrupoli avevano cercato di radicare in loro: dovevano essere le madri degli eroi italiani senza avere identità propria. La loro forza è stata nel loro legame: fecero di tutto per rimanere insieme come Leda e Rosina, le protagoniste del libro. Erano ancora inseparabili ai tempi in cui le ho conosciute, sempre vicine l’una all’altra.
Qual è, secondo te, il ruolo della memoria storica nella società contemporanea?
La Storia ci insegna a capire il nostro percorso e se ancora oggi abbiamo dei capitoli dimenticati significa che non abbiamo dato abbastanza peso alla cultura della Memoria. Se attorno a noi insistono così tante guerre, significa che non abbiamo imparato abbastanza dal passato perché in una guerra non ci sono mai vincitori. La storia è la base del nostro futuro per cui è davvero importante riportare alla luce tutto ciò che è accaduto nel passato, in modo che costituisca un bagaglio culturale essenziale di cui non possiamo fare a meno.
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